Congresso Torchiara 2019

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GABRIELA DRASAROVA

Per gentile concessione di Gabriela Drasarova la sua relazione su OTAKAR ŠEVČÍK, presentato al Congresso Internazione di Torchiara 2019 e al Congresso Internazionale di Porto 2020.

OTAKAR ŠEVČÍK (1852-1934)
Un mito intramontabile

1. Biografia

Ševčík nacque nel 1852 a Horaždovice che é un piccolo paese nell’Ovest di Bohemia. Suo padre era un organista che però aveva studiato anche il violino secondo la scuola di Spohr. Faceva il direttore del coro nella chie-sa del paese. Ebbe 7 figli di cui Otakar era l’unico maschio. Le femmine all’epoca non avevano nessuna chance di studiare e così il padre spostò tutta la sua attenzione sul figlio. Lo fece cantare nel coro e il bambino già

a 5 anni dimostrava di avere un talento fuori dal comune. Aveva una voce che incantava tutti e stupiva per l’intonazione impeccabile. Gli furono affidate le parti da solista. A 6 anni cominciò a studiare il pianoforte e a 7 anni arrivò anche il violino. Il padre era un’insegnante severissimo, nell’educazione musicale del figlio puntò tutto sulla diligenza e sulla perseveranza.  Questi erano i valori che Ševčík si portò gelosamente con se per tutta la vita.

A 10 anni, nel 1862, lasciò la casa per andare a studiare al ginnasio accademico di Praga. La famiglia faceva tanti sacrifici per sostenerlo.

Il ragazzo si doveva accontentare di pochissimo, e così, per guadagnare qualche soldo in più, andava a cantare da solista nel coro di 2 chiese im-portanti. E lì, per la sua voce angelica fu notato da Ferdinand Flammiger, un ricco mecenate che ne fu colpito al punto di decidere di sostenere tutte le spese per la formazione musicale del ragazzo. Quando poi lo sentii suonare anche il violino, convinse i genitori a togliere il figlio dal ginnasio e iscriverlo al conservatorio. Ševčík superò brillantemente l’esame di ammissione e passò direttamente al 2. corso. Su suggerimento di Flammiger si mise anche a studiare le lingue. Nel corso della sua vita arrivò a parlarne 5 fluentemente.

A 13 anni, nel 1865, diede il suo primo concerto pubblico e ricevette la

sua prima recensione su un giornale di tiratura nazionale che parlava di una nuova promessa. Fu una grande motivazione per il ragazzo che decise di impegnarsi al massimo delle proprie possibilità. E così fece, a 15 anni completò tutti i 24 capricci di Paganini insieme al 1. concerto in Re mag-giore. Studiava nella classe di Antonín Bennewitz che era un noto concer-tista ed esperto del repertorio virtuosistico.

Ševčík si diplomò con il concerto di Beethoven nel 1870 all’età di 18 anni. Andò subito al Mozarteum di Salisburgo nel ruolo di spalla e come insegnante. Lì restò per 3 anni e continuò a esibirsi da solista con grande successo suonando i concerti di Paganini, Ernst e Vieuxtemps. Fondò anche il suo quartetto d’archi che veniva paragonato al noto Quartetto Fiorentino.  Ora immaginiamo, siamo nel 1872, Ševčík ha appena 20 anni e le recensioni gli predicono una grande carriera da concertista. Ma nonostante tutto il successo, lui non era contento di se stesso, si vedeva imperfetto.  Decise di ristudiare tutto il materiale del conservatorio ma i risultati non l’hanno soddisfatto. Cominciò a riflettere come fare per ottenere più precisione e sicurezza. Era lì che nacque l’idea del nuovo metodo. Ma a quel punto, Ševčík voleva migliorare se stesso, non pensava ancora a un metodo per gli altri.

Intanto diede altri 2 importanti concerti facendosi conoscere dal pubblico di Praga e di Vienna. La sua fama crebbe e portò con se le proposte per la spalla nelle orchestre prestigiose di queste due città. Ševčík andò al teatro dell’Opera di Praga e la stagione successiva passò all’Opera di Vienna. Quando quella fallì, Ševčík accettò una proposta per una tournèe in Rus-sia. Girando per diverse città, arrivò per un recital a Mosca e lì ricevette  una proposta dal conservatorio di Kiev di assumere la guida della nuova classe principale di violino. Era 1875, lui aveva 23anni. Improvvisamente, la sua vocazione pedagogica si fece largo e lo spinse ad accettare. E fu una grande svolta nella vita di Ševčík. Restò a Kiev per 17 lunghi anni trasformandosi da un promettente virtuoso in uno stimato pedagogo. In questo lungo periodo dai suoi 23 ai 40 anni, cominciò a realizzare il suo progetto per un nuovo metodo che l’avrebbe impegnato per tutta la vita ma questa volta era indirizzato agli altri. Creò l’op.1 in 4 volumi per la mano sinistra e l’op.2 in 6 volumi. Questi 2 opus rappresentano un fenomeno singolare nella letteratura pedagogica. In precedenza non è mai stata esaminata la funzione della mano sinistra e della destra separatamente in tale ampiezza e con tale materiale così sistematicamente elaborato. Nessuno prima ne dopo era riuscito a creare un opera analoga che contenesse tutti gli elementi dello studio di violino.

I primi risultati del metodo sperimentato al conservatorio di Kiev furono così positivi che Ševčík guadagnò una posizione di tale rilievo e di rispetto da essere autorizzato a riorganizzare l’istituzione. Fece introdurre la musica da camera, l’orchestra e le classi di fiati. Come un riconoscimento ricevette il prestigioso premio di S.Stanislao e gli fu offerto il posto di direttore del conservatorio che però rifiutò perché avrebbe dovuto convertirsi alla fede ortodossa. Intanto formò il suo Quartetto d’archi di Kiev che veniva di nuovo paragonato al famoso Quartetto fiorentino. Decise anche di pubblicare l’op.1 alle proprie spese.  Il suo metodo cominciò a diffondersi sul territorio russo. A quel punto, la scuola russa, dominata da Leopold Auer a S.Pietroburgo, subì una forte influenza la quale  portò l’antagonismo fra i due giganti.     

Ševčík lasciò Kiev nel 1892 ai suoi 40 anni, quando fu nominato profes-sore al conservatorio di Praga. In seguito alla nomina, come era consueto, si presentò al pubblico suonando con l’orchestra il 1. concerto di Vieux-temps. Il concerto ebbe un grande successo. Ma, probabilmente, il con-senso più significativo, Ševčík lo ricevette l’anno dopo nel 1893 al suo attesissimo concerto nella sala Bösendorf a Vienna eseguendo la Ciaccona di Bach, il 1. concerto di Paganini e la Fantasia su Otello di Ernst. Nel pubblico era seduto il famoso critico Eduard Hanslik, conosciuto e temuto per la sua severità con gli interpeti. E Hanslik scrisse una recensione piena di lodi. Si soffermò in particolare sulla perfezione tecnica la quale era un fenomeno assai raro. E questo fatto ci dobbiamo spiegare anche se svincoliamo un po‘: all’epoca, il livello tecnico delle esecuzioni non era altissimo, salvo ovviamente pochissimi grandi nomi, che rappresentano l’eccezione alla regola. Nelle esecuzioni contava soprattutto l’interpretazione personale, il suono personale e la capacità di improvvisare. Con Ševčík e con il successivo arrivo delle registrazioni nel 1903 cambiò tutto in quanto Ševčík fece innalzare molto le aspettative e le registrazioni furono un altro passo verso la perfezione. Il primo violinista registrato è stato Joachim nel 1903. E da lì a oggi siamo arrivati  alla tecnica digitale che permette tutte le correzioni possibili, il prodotto finale viene consegnato praticamente privo di difetti. Purtoppo, l’attenzione alla perfezione, sia da parte degli interpretti come da quella dei maestri fonici negli studi di registrazione, ha causato che la ricerca del suono personale è andata in secondo piano fino a perdersi quasi completamente. E con questo abbiamo perso un valore insostituibile. Nel passato, il suono di Heifetz, Kreisler, Elman, Rabin, Hassid, era subito riconoscibile. Oggi abbiamo le registrazioni tecnicamente perfette ma salvo poche eccezioni, non distinguiamo più chi suona e ci viene tanta nostalgia del passato.

Tornando a Ševčík, sappiamo che si esibiva fino a 1898 quando raggiunse 46 anni. Poi si ritirò dalle scene dedicandosi interamente all’insegnamento e al lavoro su altri volumi del metodo. Dopo l’op.1 e 2 pubblicò l’op.3 ovvero 40 variazioni, dove viene unita la funzione della mano sinistra aquella destra. Gli opus 4 e 5 appartengono a un periodo successivo e li descriveremo più tardi. Solo per un errore editoriale la numerazione progressiva non segue un criterio temporale. Quindi, dopo l’op.3 segue l’op.6 ovvero La scuola di base, l’op.7 I trilli, l’op.8 Cambiamenti di posizioni e l’op.9 Preparazione alle le doppie corde. L’opera 10 che conclude il periodo russo, comprende 7 brani in stile paganiniano. Qui scopriamo Ševčík come un ottimo compositore. In una lettera a un amico, Ševčík rivelò che fu la nostalgia della patria a fare da ispiratrice per le Danze sui motivi delle canzoni popolari ceche. E´un vero peccato che questo repertorio si conosce poco, che viene eseguito raramente e che ci rimane solo questa prova di un talento così creativo di Ševčík.

Nel 1900, l’editore londinese Bosworth acquistò i diritti per pubblicare il metodo. Da questo momento partì la sua diffusione in tutto il mondo. In conseguenza cominciarono ad affluire a Praga numerosi allievi di tutte le età da tute le parti del mondo. Per soddisfare la richiesta, Ševčík nel 1906 decise di prendere l’aspettativa al conservatorio e creò la sua scuola privata chiamata La colonia degli stranieri. Dopo le varie peripezie con i vicini di casa che si lamentavano per troppa musica fatta dalla mattina alla sera, si trasferì a Písek, una cittadina nel Sud di Bohemia trovando un piccolo albergo dove viveva in una stanza e insegnava in un’altra per 10 ore al giorno. Inoltre, nel 1909 accettò un altro prestigioso incarico all’Accademia della musica di Vienna, un istituzione paragonabile all’Accademia Chigiana di oggi. Lavorava instancabilmente conciliando ambedue attività. Durante la settimana seguiva i suoi allievi e il fine settimana si spostava ad insegnare a Vienna. Andò avanti così fino alla 1. guerra mondiale quando diminuì l’affluenza degli allievi stranieri e Ševčík si dedicò interamente al lavoro sul metodo. Terminò l’op.4 finalizzata all’estensione delle dita della mano sinistra e l’op.5 ovvero Preparazione ai 24 capricci di Dont (op.35).

Subito dopo la fine della guerra, Ševčík fu nominato di nuovo professore

al conservatorio di Praga. Ci tornò pieno di progetti ma trovò un ambiente ostile. Dovette difendersi dagli attacchi di alcuni colleghi che mettevano in dubbio l’efficacia del suo metodo. Ševčík resistette giusto per 2 anni, e poi, amareggiato, decise di allontanarsi da Praga. Accettò un incarico in America. Nel 1921 passò un anno al conservatorio di Ithaca e un altro al conservatorio di Chicago. Lì scrisse l’op.11 Scuola dell’intonazione e preparò il materiale da pubblicare per gli opus da 12 a 15 i quali ci spiegheremo più tardi.

Tornato a Praga nel 1923, la sua salute cominciò a destare preoccupazioni, per cui dovette rifiutare altre importanti proposte dalla Royal Accademy di Londra, dal conservatorio di Mosca e di Monaco. Negli ultimi anni della sua vita completò il metodo con degli opus da 16 a 26 che rappresentano l’ultima fase creativa che sono gli studi analitici per i grandi concerti di Brahms, Čajkovskij, Mendelssohn, Paganini e Wieniawski.

Ora immaginiamo, a quel punto della sua vita, Ševčík era un uomo famoso in tutto il mondo musicale, ma viveva una vita ritirata stando lontano dagli eventi mondani. Conservava tutti i soldi delle lezioni e delle pubblicazioni diventando un milionario ma non si concedeva niente. Il suo unico svago erano le lunghe camminate spesso per 20 chilometri al giorno. Si svegliava presto, usciva per due ore nella natura e lo stesso faceva dopo aver finito le lezioni nel pomeriggio. Solo qualche volta passava la sera discutendo al ristorante con un gruppo di allievi. Nel 1931 si riprese un po’ e andò per la terza volta in America alternando una settimana a New York con una a Boston. Lo stesso anno fece un testamento lasciando una grande parte del patrimonio all’istituzione creata da lui per sostenere gli studenti poveri. A 81 anni andò contro il parere dei medici in Inghilterra per una masterclass di 3 mesi. Tornato a casa cadde in uno stato di depressione dalla quale non si riprese più. Morì nel 1934 all’età di 82 anni. Per i curiosi: non si era mai sposato. Ha avuto 2 relazioni importanti, una a Praga finita con la sua partenza per Russia e la seconda a Kiev con una certa Alessandra, dalla quale si portò un figlio adottivo Viktor a Praga. Della signora non si seppe niente…

3. Metodo

Il metodo di Ševčík si basa sui principi scientifici. Ogni passo è accurata-

mente pensato e il sistema degli esercizi assomiglia a un programma computerizzato con migliaia di combinazioni. L’idea di un certo principio venne a Ševčík in mente quando si è ricordato di un aiuto mnemonico imparato da bambino a scuola. Esso consisteva nel dividere una piccola frase in segmenti. Si iniziava con la prima parola ripetuta per 3 volte, così con la seconda e la terza. Poi si ripartiva dalla fine unendo due parole e si tornava da capo ripetendo tutta la frase sempre per 3 volte.

Esempio: “Il dado è tratto“. Quindi: il dado, il dado, il dado; è, è, è; tratto, tratto, tratto; è tratto, è tratto, è tratto; il dado è tratto, il dado è tratto, il dado è tratto. Ševčík lo descrisse matematicamente come 1+1=2, 2+1=3 e 3+1=4. Decise di fondare il suo metodo su questo principio sviluppandolo tramite numerosissime varianti. Infatti, i 6 volumi dell’op.2 contengono 4000 varianti di tutti i colpi d’arco.

Questo però, fu solo il lato tecnico del metodo al quale ora dobbiamo aggiungere il lato psicologico, ovvero la condizione psicologica del suo creatore. Ševčík, dall’età di 19 anni soffriva di una patologia all’occhio sinistro che gli procurava lancinanti dolori. Riusciva a distrarsi solo impegnandosi mentalmente e si rifugiava nell’intenso lavoro come l’unico modo di sopperire alla sofferenza fisica. Subì due interventi senza alcun risultato e nel 1894, a 42 anni affrontò l’asportazione dell’occhio. E solo per curiosità, sappiamo anche che era un grande fumatore, nel periodo russo fumava 100 sigarette al giorno.

Tornando al metodo, possiamo vedere che la sua nascita non era per niente casuale, bensì un risultato di diversi fattori confluiti insieme. Ricordiamoceli recapitolando: in primis c’era un grande talento violinistico portato al massimo dei livelli possibili, poi abbiamo l’educazione verso diligenza e perseveranza, il carattere metodico e autocritico, tanta curiosità e il coraggio di cercare le soluzioni non convenzionali. Unendo a queste caratteristiche il problema di salute, abbiamo un quadro quasi completo della situazione che fece da spinta per la grande impresa. Ho detto quasi completo, perché ci manca ancora lo scenario violinistico mondiale del momento. Prima di Ševčík, come avevamo già raccontato, c’erano pochi grandi nomi come Paganini, Wieniawski, Joachim ed Ernst. Questi raggiunsero la fama grazie al talento eccezionale, al gusto raffinato e a un’ eccellente intuizione musicale. Con Ševčík avvenne una grande svolta. Il metodo ha permesso di raggiungere i livelli tecnici inaspettati anche ai violinisti di fascia media. Quindi, migliorarono le orchestre e cresceva una nuova generazione dei violinisti più consapevoli del modo di studiare. Ma soprattutto, la tecnica diventò un mezzo al posto dello scopo. Per Šev-čík, superare perfettamente il lato tecnico significava arrivare alla libertà assoluta nell’interpretazione. Il suo obiettivo non era migliorare solo la tecnica bensì arrivare tramite essa alla sintesi finale. Quindi, il metodo, oltre a darci una tecnica affidabile, ci insegna un percorso dove vanno costruite con pazienza le solide fondamenta, poi va compresa la struttura del brano analizzandola e alla fine si è liberi di giocare con l’espressione. E rispettando questo percorso, ci si ritrovava con un bagaglio di tecnica affidabile che porta alla fiducia in se stessi durante l’esibizione e permette di concentrarsi solo sull‘espressione. E qui c’è il segreto del successo del metodo che sta nella felice unione del fattore tecnico con quello psico-logico che si fondono in uno.

4. Sostenitori e oppositori, accusa

Come molti innovatori, anche Ševčík dovette affrontare alcuni agguerriti oppositori. Le critiche riguardavano spesso la grande quantità di esercizi che richiedevano molto tempo nello studio e parlavano anche di una presunta monotonia. Quanto a questa, Ševčík non la tollerava, invitava sempre a cercare la direzione musicale anche in una sola battuta sia nell’op.2 che nell’op.8. Quanto al tempo impiegato, si sapeva che gli allevi di Ševčík studiavano da 6 a 10 ore al giorno. Ma studiavano tanto non per l’imposizione del maestro bensì per l’entusiasmo di vedersi finalmente progredire velocemente e anche per la serietà che Ševčík trasmetteva a tutti. E poi, non c’erano né telefonini né Internet né i social. Tutti stavano nello stesso albergo con la stessa motivazione, si sentiva studiare a destra e a sinistra, non c’era voglia di distrazioni…Ma nel mirino degli oppositori, oltre alle tante ore di studio, c’era anche il fatto che il metodo, presumibilmente, spostava l’attenzione solo sulla tecnica. Le critiche erano il frutto della non compresa complessità del metodo ma anche della mancata capacità di applicarlo individualmente. Ševčík era dotato di un grande intuito nell’individuare velocemente le mancanze degli allievi e nello scegliere dal vasto materiale gli esercizi specifici per superare il difetto. Nessun allievo studiava tutti i volumi, sarebbe impossibile. E poi, Ševčík, oltre a fare una scelta accurata degli esercizi, costruiva attentamente l’autonomia degli allievi nello studio nell’invitandoli a una sana autocritica che portava a sapersi valutare obiettivamente in modo costruttivo e ad avere fiducia in se stessi. Una volta terminate le lezioni con il maestro, si tornava a casa in grado di risolvere i problemi da soli.

Dagli archivi storici si può apprendere che il crescente successo del metodo all’epoca portò l’invidia al conservatorio di Praga. Ševčík veniva accusato di scegliersi i migliori allievi che avrebbero fatto la strada anche senza il suo metodo. Ma l’accusa più forte vedeva Ševčík come un “fabbricante dei violinisti robot”. Questo fu un colpo basso, anche se significava che era stato riconosciuto il funzionamento del metodo al livello tecnico, il che era già un grande successo, ma non era questo l’obiettivo di Ševčík.  Amareggiato, decise di andare in America. Intanto, le accese discussioni al conservatorio di Praga hanno causato un grande ritardo nell’inserimento del metodo nel programma di base. Questo avvenne solo nel 1902 per volere di Antonín Dvořák, diventato il nuovo direttore generale, mentre il metodo veniva usato già da diversi anni negli altri conservatori europei.

I più grandi oppositori di Ševčík erano Henri Marteau, il sostenitore della scuola di Joachim e Leopold Auer che insegnava in Russia. Henri Marteau, poi nel corso degli anni si ricredette e ammise pubblicamente di essersi sbagliato sul metodo di Ševčík. Auer non cambiò la sua posizione ma i suoi migliori allievi, andando alle competizioni internazionali, scrivevano nei loro curricula di aver studiato nella classe dai materiali di Ševčík. Alcuni di loro proseguivano lo studio dopo il diploma con Ševčík stesso, per esempio Efrem Zimbalist. Fu addirittura il direttore del conservatorio di S.Pietroburgo, Alexander Glazunov, a pregare Ševčík in una lettera personale di prendere Zimbalist come allievo.

Fra i sostenitori rinomati troviamo Carl Flesch, D.Oistrach e S. Accardo.

Carl Flesch dedicò a Ševčík un’ampia parte del suo libro “Die Kunst des Violinspieles”, ovvero L’arte del violino. In una lettera personale a Ševčík

scrisse: “Egregio maestro, nel mio libro Le ho dedicato appositamente molto spazio perché volevo portare a tacere per sempre le voci sulla scarsa efficacia del Suo metodo il quale considero un’opera epocale. Ho anche pubblicato un articolo su Allgemeine Zeitung dove dichiaro che un eventuale insuccesso del metodo è dovuto solo a una sua errata applicazione e non all’opera stessa. Illustre maestro, l’assicuro, finché sarò in vita, mi impegnerò a far accrescere la popolarità del suo metodo, poiché esso, applicato in modo giusto, portò a migliorare me stesso come tutti i miei allievi.” Sottoscritto: Il vostro allievo indiretto.

David Oistrach lasciò un commento riguardo gli studi analitici di Ševčík op.19 per il concerto di Čajkovski. Nell’introduzione alla sua revisione del concerto nomina l’op.19 dicendo che la versione di Ševčík non serviva solo a superare le difficoltà tecniche bensì conduceva all’espressione finale. 

Concludiamo questo capitolo con Salvatore Accardo il quale dichiarò in un’intervista di esser grato al metodo di Ševčík perché gli permise di co-struire un bagaglio necessario per vincere il concorso Paganini.

5. Allievi

Come abbiamo già raccontato, la diffusione del metodo portò un ondata

di allievi che affluivano da Ševčík da tutte le parti del mondo. Fu incaricato un assistente per annotare i nomi, la provenienza, il numero delle lezioni e l’anno corrente. Il registro finale contiene 1199 nomi.

Dalla classe viennese di Ševčík uscirono Erika Morini, Wolfgang Schnei-derhan, Efrem Zimbalist e David Hochstein. A Praga ci fu Jan Kubelík, Jaroslav Kocian, Marie Hall, Henrietta Wieniawska (figlia di Wieniawski). In Russia troviamo Pyotr Stolyarsky, il futuro insegnante di David Oistrach e di Nathan Milstein. Anche Jacques Thibaud bussò a un certo punto alla porta di Ševčík ma non fu trovato un accordo e non si conoscono i particolari del perché. Ma la lettera di richiesta per le lezioni fu conservata nell’archivio curato dall’ assistente.

Ševčík lasciò ai suoi allievi anche un’importante eredità morale che con-sisteva nell’ invito a non lasciare niente al caso, di studiare nel modo mirato a ottenere piena padronanza dello strumento e ad avere fiducia in

se stessi. Gli allievi si portavano a casa un bagaglio reale e ideale e lo trasferivano alla loro volta ai propri allievi. Il metodo continua a esser tramandato nello stesso modo fino a oggi. Aggiungerei che la su forza   consiste forse anche nel modus operandi che Ševčík era riuscito a trasmettere e con il quale il metodo continua ad essere tramandato da più di 120 anni.

6. Opere

Il lavoro sul metodo si svolse in 3 periodi creativi.

Il primo e il secondo rappresentano la costruzione delle basi tecniche, mentre il terzo è concentrato sulla sintesi finale. Il primo periodo, cosi-ddetto russo si conclude entro il 1900. Comprende gli opus da 1a 3 e da

6 a 9, il periodo si chiude con l’op.10, il frutto della fase compositiva di Ševčík, Le 7 danze sui motivi popolari delle canzoni ceche.

Il secondo periodo va da 1912 a 1923 e include l’op. 4 che sono gli eser-cizi per l’estensione delle dita della mano sinistra, l’op.5 che sono gli studi preparatori per i 24 capricci di Dont (op.35) e gli opus da 11 a 15. L’op.11 chiamata La scuola dell’intonazione va oltre il fattore tecnico, sviluppa anche la percezione armonica. Gli opus da 12 a 15 non sono mai statti pubblicati per una decisione personale dell’editore Harms. L’unico manoscritto giaceva nell’archivio per anni e quando la ditta fu as-sorbita nel 1929 dalla Warner Bros di New York, non fu più trovato.  Ševčik fu pagato ma non vide mai questo lavoro realizzato pubblicamente. Gli opus si chiamavano La scuola del virtuosismo. L’opera 12 trattava le doppie corde, l’op.13 erano gli arpeggi le modulazioni, l’op.14 era La scuola degli accordi e l’op.15 La scuola dei flageoletti e del pizzicato.

Il terzo periodo va da 1923 in poi e comprende gli opus da 16 a 26. L’op.16 è La scuola dell’interpretazione, l’op.17 sono gli studi analitici per il 2. concerto di Wieniawski, l’op.18 per il concerto di Brahms,

l’op.19 per il concerto di Čajkovskij, l’op.20 per il 1. concerto di Paganini e l’op.21 per il concerto di Mendelssohn.

L’op.22  tratta i cambiamenti di posizione con le doppie corde e l’op.23 è

La cromatica in tutte le posizioni. Di questi 2 opus esistono solo i mano-scritti.

L’opera 24 fu pubblicata nel 2005, comprende gli esercizi per il pizzicato della mano sinistra unita all’arco della destra.

L’opera 25 sono gli studi per la cadenza di Joachim per il concerto di Brahms.

L’ultima opera 26 é un analisi di 42 studi di Kreutzer con gli appositi esercizi.

La progressione dei volumi si potrebbe paragonare a un mosaico che si compone man mano con una perfezione matematica aumentando gradu-almente la difficoltà fino ad arrivare a un quadro completo di tutto. Infatti, i 26 volumi contengono tutti gli elementi dello studio di violino.

A questo punto possiamo di nuovo constatare che le critiche del metodo partivano da chi ne aveva una conoscenza o visione solo parziale ignorando la sua complessità.

7. Influenza su altre scuole

Sfogliando il registro degli allievi di Ševčík, possiamo vedere che ci sono

i rappresentanti di tutte e due le Americhe, dell’Africa, dell’Asia, dell’ Australia e ovviamente dell’Europa. Da questo possiamo facilmente de-durre che il metodo si era largamente diffuso in tutto il mondo e che c’è stato un impatto con altre scuole. La maggior influenza c’è stata in Russia per i lunghi 17 anni di permanenza di Ševčík.

Qui si conclude il nostro viaggio nell mondo di Ševčík. Senza il suo metodo la storia del violino non sarebbe completa…

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Autore: Gabriela Drasarova, relatrice al convegno nazionale ESTA 2019 a Torchiara

Bibliografia: Dr.Vladimír Šefl: Otakar Ševčík, Sborník statí e vzpomínek

Státní nakladatelství krásné literatury Praha 1953

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